Postcards From Rwanda: Il Paese degli Orfani
DEATH OF A HERO
Ahmed Shah Massud
> TRIBUTEWi> INTERVIEW
> MESSAGE TO THE
PEOPLE OF THE USA

NEW YORK, NEW YORK!
Tribute to
a defaced city
FAREWELL MARJAN...
Marjan, the one-eyed lone
lion is no longer the king of
Kabul zoo
PICTURES from the grenade attack!
Dear Visitors, these next pages are a heartful tribute to Maria Grazia Cutuli, sweetest friend, valued travelmate and skillful writer for Corriere della Sera, major italian newspaper, who was ambushed and killed by unknown assailants on November 19 2001, while traveling from Jalalabad to Kabul (Afghanistan) together with colleagues Julio Fuentes (spanish newspaper El Mundo), Harry Burton and Hazizullah Haidari (cameraman and photographer, Reuters).
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>AUDIO CLIP her last report from Peshawar [ Corriere.it ]
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How colleagues journalist and friends >REMEMBER her
Pages from italian and international >PRESS
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>STORIES we published >TOGETHER (her writings, my pictures)
>ALL THE STORIES
RWANDA, IL PAESE DEGLI ORFANI (1998)
>Maria Grazia Cutuli


50189 Kigali, Street Children

Trecentomila orfani. Bambini che hanno visto morire i genitori sotto i machete degli estremisti hutu. Bambini che li hanno persi per strada durante gli esodi verso lo Zaire, il Burundi, la Tanzania e i contro-esodi per ritornare in patria. Bambini rimasti soli a prendersi cura dei fratelli, dei cugini, degli amici più piccoli. Bambini finiti in orfanatrofio. Bambini in carcere accusati di genocidio. O ancora bambini che hanno scelto la strada come unica scommessa di vita. A quattro anni dalle stragi del 1994 dove sono stati uccisi, secondo le stime, più di 800 mila tutsi e hutu moderati, il Ruanda deve fare i conti anche con l'eredità di un'infanzia perduta, traumatizzata dalla guerra, deprivata degli affetti familiari, spesso abbandonata a se stessa.
Trecentomila orfani, la cifra fornita dal ministero degli Affari sociali del Ruanda, sembra addirittura calcolata per difetto. L'Unicef che coordina la maggior parte dei programmi messi a punto per salvare l'infanzia del piccolo Paese centrafricano, dichiara oltre 60 mila nuclei familiari in Ruanda retti da ragazzini. Alcuni maggiorenni, tra i 18 e i 22 anni, ma molti non più grandi di 13 o 14 anni. Sono i nuovi capi famiglia, orfani che hanno preso in mano le redini di quel che restava della loro casa, riunendo a volte anche 4 o 5 fratellini e parenti più giovani. Le organizzazioni locali, che tramite l'Unicef li aiutano, come Barakabaho, Giribambe, Seruka, oppure quelle internazionali come Concern o World Vision, si occupano di indirizzarli verso attività lavorative o, dove è possibile, mandarli a scuola per continuare gli studi interrotti.
Altre associazioni si sono specializzate sul cosiddetto "tracing", la ricerca e il ritrovamento dei familiari disposti a riaccogliere i piccoli. In Ruanda, sono almeno 55 mila i "bambini non accompagnati". Forse orfani, o forse no. Bambini perduti e ritrovati soli. Spesso feriti, denutriti, scioccati. Concern, organizzazione non governativa irlandese, negli ultimi anni ha supportato orfanatrofi strutturati più che come "istituzioni" permanenti come campi di transito, nei quali i bambini "non accompagnati" possono trovare alloggio momentaneo in prospettiva di un ricongiungimento familiare. Foto segnaletiche affisse in tutte le prefetture dovrebbero aiutare i genitori ancora in vita, che hanno magari perso notizie dei figli durante la guerra o durante l'esodo dai campi profughi, a identificare i loro piccoli.
Un'organizzazione locale come Kanyarwanda l'anno scorso ha lanciato un progetto di assistenza e scolarizzazione di 314 orfani integrato con degli "affidamenti" a famiglie disposte a un temporanea accoglienza. Di adozioni si occupa anche Asoferwa, l'Associazione delle vedove e degli orfani, che ha in lista oltre 1600 bambini da dare in affidamento in Ruanda. Altre strutture sono in mano ai religiosi. Tra i tanti orfanatrofi gestiti dalla Chiesa, alla periferia di Kigali, c'è quello di un prete italiano, padre Vito Misuraca che con una ventina di assistenti locali si prende cura del vitto, dell'alloggio e soprattutto dell'istruzione di 130 ragazzini.
Una delle piaghe maggiori rimane però quella dei bambini di strada, i "maibobo" come li chiamano in Ruanda. Le organizzazioni locali intervengono anche in loro soccorso andandoli a scovare nelle baraccopoli e tentando di sottrarli alla droga e alla violenza. Ma sono come piccole bestie selvatiche, difficili da ricondurre a una vita normale. Di giorno bivaccano agli angoli della strada, improvvisandosi parcheggiatori per tirar su qualche spicciolo con i "muzungu", gli stranieri. All'imbrunire si aggirano nelle discariche alla ricerca di rifiuti da divorare. Di notte si accampano a dormire in vecchi ruderi. Piccoli avventurieri senza futuro e senza speranza, questi bambini hanno scelto la libertà. Si rifiutano di finire negli orfanatrofi e preferiscono affidare la propria sopravvivenza alla logica della "banda". Alcuni hanno persino i genitori, o almeno uno dei due, il padre o la madre. Ma sono genitori che vivono in condizioni tali di povertà, alcolismo, degrado, da non potersi prendere cura di loro.
L'infanzia perduta del Ruanda si è anche macchiata, per la prima volta nella storia, di una "colpa" senza precedenti: il genocidio: 2 mila e 200 ragazzini, ta i quali 85 bambine accusati di aver partecipato alle stragi del '94. Molti di loro sono orfani. Altri sono figli a loro volta di "génocidaire", spinti dagli stessi familiari a uccidere. Per alcuni, quelli che all'epoca di massacri avevano meno di 14 anni, l'Unicef è riuscito a creare una struttura, il campo di Gitagata, dal quale, terminato il periodo di rieducazione, possono uscire per essere reintegrati nei villaggi. Asoferwa come organizzazione locale si occupa sia delle "indagini" per il ritrovamento dei familiari sia della "mediazione" con i rappresentanti e gli abitanti dei villaggi che dovranno "perdonarli" e riaccoglierli.

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Maria Grazia Cutuli
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Farewell, good ol' Marjan...
The lone king of Kabul zoo succumbs to his age at 48, after surviving years and years of deprivations and symbolizing to kabulis the spirit of resiliency itself

Well.....that's sad news, indeed. To my eyes, Marjan symbolized hope.  However, in thinking about that dear old lion's death I choose to believe that when he heard the swoosh of kites flying over Kabul, heard the roars from the football stadium, experienced the renewed sounds of music in the air and heard the click-click of chess pieces being moved around chessboards....well, the old guy knew that there was plenty of hope around and it was okay for him to let go and fly off, amid kite strings, to wherever it is the spirits of animals go.
Peace to you Marjan and peace to Afghanistan.
[Diana Smith, via the Internet]

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